Se dovessimo affermare che il vino è nato con l’uomo, probabilmente avremmo una bassa percentuale di errore. Per inverso, il rapporto tra vite e uomo è sicuramente a favore della vite. La prima specie di vitis “vitacee“, si data infatti a 65 milioni di anni fa, ancor prima della deriva dei continenti. È facile intuire il percorso espansivo oltre a quello evolutivo, indispensabile a garantirne la sopravvivenza, catalizzato esclusivamente dalle diverse condizioni pedoclimatiche, che ne determinano specie diverse e – tra le stesse – diverse attitudini genetiche.

Quella di interesse particolare, è la vitis vinifera, archeologicamente datata con l’era dei metalli, periodo nel quale l’agricoltura è agli albori. Inizia quindi un lento processo di conoscenza e approfondimento che ancora oggi è in atto.

La coltura della vite e la pratica della vinificazione accompagnano l’uomo in un rapporto antico, simbiotico e di reciproco condizionamento. A dirla tutta, il vero il rapporto è a quattro: vite, vino, uomo e Natura. Tali elementi, trattati per le specifiche caratteristiche, in un contesto di correlazione e contestualizzazione sia temporale che territoriale, ci aiutano a capire il vino e la sua storia in termini di processi evolutivi ed involutivi.

Sono pochi i prodotti agricoli che conoscono una diversità paragonabile alla vitis vinifera e ai vini dal cui frutto dipendono; le differenze riguardano le specie, così come le condizioni ambientali di ciascun territorio.

Tale diversità dipende non solo dalle condizioni geologiche e climatiche, ma in egual misura da un rapporto di mutuo scambio che l’uomo ha saputo creare con l’ambiente circostante, dando forma a una specifica identità culturale fondamentale per comprendere la comparsa e la diffusione della viticoltura nel mondo. Inoltre, lungo il corso della storia questa ha assunto un ruolo di fondamentale importanza nella sfera economica, sociale, politica e più in generale ideologica.

A tal proposito, da un punto di vista economico, si può fare riferimento all’uso del vino come moneta di scambio  presso i Romani. I “galli” barattavano uno schiavo per un’otria di vino. Tanto che della Campania ne fecero area esclusiva di produzione, ne contingentarono le produzioni applicando i primi criteri di zonazione, così da produrre vino differenziandolo per area produttiva – quella costiera e quella pedemontana del massiccio del Matese “Sannio e Irpinia” – e per tipologia di consumo, diversamente orientato in funzione della classe sociale a cui era destinato: esercito, plebe e patrizi.

Ancora… si può sottolineare il ruolo della viticoltura nella sfera politica citando l’Editto di Domizianodel I secolo ma anche considerando gli effetti della Guerra dei Cent’anni sul commercio del vino tra Inghilterra e Aquitania e dell’influenza del Trattato di Methuensulla produzione di Porto. A questi fattori non si può non aggiungere il forte valore ideologico e simbolico di cui il vino e la vite si sono caricati, sia in epoca classica con i rituali bacchici sia successivamente con l’eucarestia cristiana. Tutti questi aspetti hanno peraltro disegnato una specifica geografia del paesaggio viticolo che, considerando la portata delle dinamiche sopra descritte, diventa l’espressione delle trasformazioni e delle interazioni fra strutture economiche, sociali, ideologiche e politiche di un popolo in una data epoca storica.

La viticoltura, nel corso della storia, è stata continuamente modellata alle diverse esigenze umane, determinandone sia percorsi evolutivi che involutivi (intendendo per involutivi tutti quei processi che vedono il vino come mero strumento di sola soddisfazione economica). La stessa, però, vede anche eventi naturali di grande rilevanza.

È da evidenziare quello del 79 e 472 DC quando l’eruzione del Vesuvio, distrugge buona parte degli areali produttivi. Evento da considerarsi, paradossalmente di grande favore alla viticoltura, giacché ne consegue la diffusione della vite nell’Impero Romano, oltre che nel modificare la struttura mineraria dei suoli, determinando condizioni pedologiche di grande favore. Il Sannio, in tal senso, ne è stato particolarmente favorito.

Nel 1858, in Francia si evidenzia un letale parassita della vite – la fillossera – che distrusse vigneti tanto che la produzione enoica francese, nell’anno 1887, risultò essere ridotta di circa il 60% rispetto alle normali produzioni. La viticoltura era seriamente minacciata!

In Italia nel 1879 ancora non si registrava questa “piaga”, ma la minaccia era alle porte, tant’è che il 1894 evidenzia il Piemonte, la Lombardia, la Sicilia e la Sardegna quali regioni particolarmente colpite da questo parassita della vite.

Intanto, in attesa di soluzioni scientifiche risolutive e in un contesto di enormi difficoltà, ciascuna area produttiva è alla ricerca di potenziali vitigni maggiormente resistenti alla fillossera. In una sorta di confusione generale si perdono o abbandonano i vitigni così detti “storici e/o autoctoni” così che gli stessi, per ragioni principalmente commerciali, si reidentificano con il nome di vitigni meglio brandizzati.

Tracciare un percorso storico della Camaiola in Castelvenere, è compito molto arduo: esistono testimonianze documentali che ne accertano la produzione anche in termini vivaistici, ma purtroppo se ne perdono le tracce – o quanto meno si confondono – quando, anche in area Campana all’inizio del novecento, si diffonde la coltivazione del Barbera piemontese.

L’ampelografo Marrocco, forse ad arte o inconsapevolmente, parla di un Barbera di Castelvenere. Probabilmente anche per opportunità commerciali, risultò conveniente proporre l’originale prodotto Camaiola, con il nome Barbera.

Oggi è dimostrato, per indagine genetica, oltre che da una evidenza fisica, che non esiste alcuna similitudine tra l’uva Barbera Sannita e quella Piemontese. Proprio per questo motivo sono in atto formali procedure tese ad ottenere il riconoscimento e l’inserimento nell’ALBO NAZIONALE DELLE VITI come nuovo e storico vitigno, unico al mondo, che di fatto si produce in Castevenere e pochissimi altri comuni limitrofi.

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